
La storia dietro al "Why Always Me" di Mario Balotelli
Il 23 ottobre 2011 è una data diventata ormai iconica nel mondo del calcio. Quel giorno, durante il derby di Manchester tra City e United in Premier League, Mario Balotelli segna il primo gol della partita e, con un gesto destinato a entrare nella storia del calcio, solleva la maglia celeste rivelando una t-shirt bianca con una scritta in stampatello blu: “Why Always Me?”, ovvero “Perché sempre io?”. In un attimo, quella frase diventa virale, un simbolo della personalità complessa, ironica e ribelle dell’ex attaccante, tra le altre, di Inter e Milan. Quella non era soltanto un’esultanza, ma un messaggio diretto, un misto di provocazione e autoironia che avrebbe segnato per sempre la carriera e l’immagine pubblica di Balotelli.
Mario Balotelli prima del Why Always Me: un talento discusso
All’epoca, Mario Balotelli aveva 21 anni e giocava nel Manchester City di Roberto Mancini. Era uno dei giovani più talentuosi d’Europa, ma anche uno dei più chiacchierati. In Inghilterra, come in Italia, Balotelli era spesso al centro di polemiche e gossip: dai comportamenti eccentrici fuori dal campo alle espulsioni in partita, fino agli episodi bizzarri raccontati dai tabloid, come i fuochi d’artificio accesi in casa o le multe per infrazioni stradali.
Il talento era indiscutibile, ma la sua immagine mediatica era diventata ingombrante. Ogni volta che Balotelli scendeva in campo, sentiva che il mondo intero fosse pronto a giudicarlo. In questo clima di attenzione spasmodica, il gesto del “Why Always Me?” nasce come una risposta ironica e pungente alle critiche e alle speculazioni che lo circondavano quotidianamente.
Why Always Me? Il significato dell'esultanza di Balotelli
Dietro l’apparente leggerezza della frase si nasconde quindi un significato più profondo. “Why Always Me?” è la sintesi perfetta del rapporto tormentato tra Balotelli e i media, ma anche del suo carattere: impulsivo, orgoglioso e consapevole della propria peculiarità. Con quelle tre parole, il giocatore si lamentava ironicamente del fatto che fosse sempre lui al centro dell’attenzione, nel bene e nel male. Ogni piccolo errore, ogni episodio curioso, diventava immediatamente un caso mediatico. Ma anche ogni gol, pesante, come quello fatto a un derby lo metteva al centro delle attenzioni: quelle calcistiche, le migliori.
Balotelli non voleva passare per vittima, ma ricordare a tutti che dietro le prime pagine c’era un ragazzo che voleva solo giocare a calcio. Quel messaggio, seppur ironico, fu anche una forma di ribellione contro un sistema mediatico che spesso cercava più lo scandalo che la verità.
La sua eredità
A distanza di anni, “Why Always Me?” è rimasta una delle citazioni più celebri della storia del calcio moderno. Non a caso, molti atleti e personaggi pubblici hanno citato o reinterpretato la frase, usandola per esprimere la stessa sensazione di essere fraintesi o bersagliati.
Oggi, infatti, “Why Always Me?” non viene considerata solo una battuta o un ricordo da derby. È diventata una sorta di metafora per chi, come Balotelli, si sente giudicato, frainteso o costantemente osservato. È la voce di chi, nonostante tutto, continua a mostrarsi per ciò che è, senza maschere e senza paura di sbagliare. E per questo quello di Mario, a distanza di anni, viene considerato, nel suo piccolo, un gesto di ribellione rivoluzionario.
In un’epoca in cui l’immagine pubblica conta più della sostanza, quel gesto spontaneo di un ventunenne italiano in Premier League è rimasto impresso nella memoria collettiva come un grido di libertà. Perché sì, forse Balotelli si è chiesto davvero “Perché sempre io?”, ma la risposta, oggi, è semplice: perché nessuno come lui è mai riuscito a trasformare una frase su una maglietta in un’icona eterna.