Per anni la Supercoppa Italiana è stata il simbolo perfetto del calcio d’agosto: una gara secca, una sera d’estate, spesso disputata allo stadio di una delle due squadre coinvolte o, al massimo, in una sede neutra sul territorio nazionale. Un trofeo di apertura, più rituale che spettacolo, capace di riaccendere l’attenzione dei tifosi dopo la pausa estiva ma senza mai prendersi davvero la scena. Oggi, invece, la Supercoppa è diventata qualcos’altro: un mini-torneo, una Final Four giocata all’estero, a migliaia di chilometri dall’Italia, nel cuore del Medio Oriente. Un’evoluzione che ha fatto discutere, diviso tifosi e addetti ai lavori, ma che racconta molto più del semplice cambio di format.

 

Per capire perché oggi la Supercoppa Italiana si giochi in quattro e a Riad bisogna guardare oltre il campo, entrando nelle logiche economiche, strategiche e politiche che governano il calcio moderno.

 

Perché la Supercoppa si gioca fuori dall’Italia?

 

Il primo passo di questa trasformazione arriva ben prima dell’introduzione del formato a quattro squadre. Già dagli anni Novanta la Lega Serie A aveva iniziato a intuire che la Supercoppa potesse diventare un prodotto esportabile. Nel 1993 si gioca a Washington, poi a Tripoli, Pechino, Doha, Shanghai. Luoghi lontani, spesso estranei alla tradizione del tifo italiano, ma interessati a ospitare eventi capaci di generare visibilità globale.

 

Alla base di queste scelte c’è una realtà molto semplice: i diritti economici. Organizzare una Supercoppa in Italia significa incassi limitati, stadi non sempre pieni, ricavi difficilmente prevedibili. Portarla all’estero, invece, vuol dire vendere un evento “chiavi in mano” a governi o organismi disposti a investire cifre importanti pur di associare il proprio nome al calcio italiano. Non è solo una partita, ma un pacchetto che comprende brand, immagine, storytelling, sviluppo commerciale.

 

In questo scenario l’Arabia Saudita diventa una destinazione naturale. Investimenti colossali nello sport, una strategia chiara di posizionamento internazionale e la volontà di legare il proprio nome a competizioni storiche europee rendono Riad una sede perfetta. Per la Lega Serie A, l’accordo è economicamente vantaggioso e garantisce visibilità su mercati in fortissima espansione. Per i sauditi, ospitare un trofeo italiano significa entrare nel racconto del grande calcio.

 

Da partita secca a Final Four: il cambio di format

 

Se la scelta di giocare all’estero ha una lunga storia, il vero salto avviene con l’introduzione del format a quattro squadre. Una rivoluzione che stravolge il senso stesso della Supercoppa e ne cambia radicalmente la percezione.

 

Tradizionalmente il trofeo metteva di fronte i campioni d’Italia e i vincitori della Coppa Italia. Un confronto diretto, semplice, lineare. Il nuovo format, invece, coinvolge quattro squadre: le prime due classificate in Serie A e le due finaliste di Coppa Italia. Un mini-torneo con due semifinali e una finale, spalmato su più giorni.

 

Perché questa scelta? Anche qui la risposta non è solo sportiva. Aumentare il numero di squadre significa aumentare il numero di partite, quindi di eventi vendibili. Due gare diventano tre, con più big match potenziali, più contenuti televisivi, più giorni di visibilità. In un calcio sempre più orientato ai ricavi da diritti TV e sponsorship, il valore di un format si misura anche nel numero di serate “da prime time” che è in grado di generare.

 

C’è poi un’altra componente fondamentale: la competitività percepita. Con quattro squadre, quasi sempre grandi club, la Supercoppa diventa una sorta di mini Champions domestica, un torneo breve ma intenso, capace di attirare l’attenzione di un pubblico internazionale che magari segue poco il campionato italiano ma riconosce i grandi marchi.

 

Il modello spagnolo e l’ispirazione internazionale

 

Il cambio di format non nasce nel vuoto. La Supercoppa Italiana segue un percorso già tracciato da altre competizioni, in particolare dalla Supercoppa di Spagna. Anche lì, negli ultimi anni, si è passati a una Final Four giocata all’estero, sempre in Arabia Saudita. Un modello che ha dimostrato di funzionare dal punto di vista economico e mediatico, aprendo la strada a un ripensamento generale del concetto di “supercoppa”.

 

Il messaggio è chiaro: questi trofei non sono più semplici appendici del calendario nazionale, ma eventi autonomi, pensati per il mercato globale. E in questo mercato l’Italia non può permettersi di restare ferma. Con una Serie A che fatica a competere economicamente con Premier League, Liga e Bundesliga, ogni occasione di crescita dei ricavi diventa cruciale.

 

Le polemiche e il distacco dai tifosi

 

Naturalmente, questa trasformazione non è priva di critiche. La principale riguarda il distacco sempre maggiore dal pubblico italiano. Giocare a Riad significa escludere di fatto la gran parte dei tifosi, rendendo la Supercoppa un evento televisivo più che popolare. Stadi pieni, sì, ma di un pubblico spesso neutro o occasionale, lontano dal tifo tradizionale.

 

C’è poi il tema del calendario. Inserire un mini-torneo in una stagione già congestionata crea difficoltà logistiche, viaggi lunghi, stress per i giocatori. La Supercoppa, da passerella estiva, diventa un appuntamento pesante, collocato nel cuore dell’annata sportiva.

 

Eppure, nonostante le critiche, la direzione intrapresa sembra ormai irreversibile. Il calcio moderno vive di equilibri economici delicati, e la Supercoppa rappresenta una risorsa troppo importante per essere ridimensionata.

 

Una Supercoppa sempre meno “italiana”?

 

Alla fine, la domanda che resta sospesa è quasi identitaria: la Supercoppa Italiana è ancora davvero italiana? Dal punto di vista dei club coinvolti, sì. Dal punto di vista organizzativo e commerciale, molto meno. È un prodotto globale che porta un nome storico, ma che parla sempre di più il linguaggio del mercato internazionale.

 

Giocare in quattro e a Riad non è una semplice scelta logistica o un capriccio della Lega: è il riflesso di un calcio che ha smesso da tempo di guardare solo ai confini nazionali. Piaccia o no, la Supercoppa è diventata uno specchio fedele di questa evoluzione. Un trofeo che continua a raccontare il calcio italiano, ma lo fa da lontano, sotto luci diverse, davanti a un pubblico nuovo.