Quando si parla di El Aynaoui in Serie A, oggi, il pensiero va subito a Neil: centrocampista giovane, dinamico, con il vizio del gol e pronto a far impazzire i tifosi della Roma. Un giocatore moderno, capace di strappare, rifinire e inserirsi come pochi, che può prendersi la scena all’Olimpico.

 

Ma fino a qualche anno fa, quel cognome evocava tutt’altro: non campi in erba tagliata al millimetro, ma superfici dure, in terra o erba sintetica. Non reti gonfiate da palloni, ma colpite da palline gialle. Non scarpini ai piedi, ma racchette in mano. Perché prima di Neil, c’era Younes El Aynaoui, suo padre: uno dei più forti tennisti africani di sempre, capace di sfidare i grandi del circuito ATP con classe, tenacia e uno stile riconoscibile.

 

Chi è Younes El Aynaoui, il padre di Neil: vittorie nel tennis e ranking ATP

 

Nel mondo del tennis, Younes El Aynaoui è stato molto più di un semplice nome da tabellone. È stato un simbolo, un combattente, uno di quei giocatori che magari non hanno dominato i titoli dei giornali ogni settimana, ma che tutti rispettavano. Il suo momento più alto? Nel 2003, quando toccò il cielo con un incredibile n. 14 nel ranking mondiale ATP. Per un tennista marocchino, un risultato storico, che lo ha consacrato tra i migliori del circuito internazionale.

 

La sua carriera è stata ricca di battaglie e di momenti da ricordare. Sul campo ha totalizzato più di 260 vittorie nel circuito maggiore, costruendo la sua fama col sudore e con un gioco potente, elegante e mai banale. In bacheca, 5 titoli ATP in singolare, vinti su superfici e continenti diversi: dai campi duri di Amsterdam e Doha, alla terra battuta di Casablanca, Bucarest e Monaco. Vittorie che parlano di versatilità, costanza e fame.

 

Non sono mancate le finali perse (ben 11), ma fanno parte del mestiere. E nel suo caso, non hanno mai scalfito la percezione di solidità e carisma che portava in ogni torneo. Ma El Aynaoui non è stato solo un tennista forte. È stato un’icona per il Marocco, un modello per intere generazioni. Il primo a dimostrare che sì, anche un ragazzo del Maghreb poteva arrivare tra i big del tennis mondiale. Ogni sua vittoria era un po’ una vittoria collettiva, un motivo d’orgoglio nazionale.

 

Ha rappresentato il Marocco in Coppa Davis, spesso da leader e trascinatore. In campo era elegante e determinato, fuori era educato, disponibile e rispettato da tutti. In patria, è stato celebrato non solo per i risultati, ma per ciò che rappresentava: talento, disciplina, perseveranza. Il suo nome, prima che diventasse sinonimo di calcio, è stato a lungo legato a un sogno chiamato tennis.

 

Perché El Aynaoui ha scelto il calcio e non il tennis

 

Quando si nasce con un cognome così, e un padre che ha scritto la storia del tennis marocchino, la strada sembrerebbe segnata. Ma Neil El Aynaoui ha preso un’altra direzione, quella dei campi in erba naturale, dei palloni sotto la suola, delle scivolate, degli assist e dei gol. Il calcio lo ha conquistato da subito, fin da bambino. Anzi, va detta la verità per bene. Il tennis lo affascinava, ci giocava, ma poi fu stregato da un calciatore e perse la testa per il calcio. Il colpevole? Don Andres Iniesta. E allora calcio sia. Nessuna forzatura, nessuna pressione familiare: da lì in poi solo passione e un pallone sempre tra i piedi.

 

Nonostante un'eredità tennistica importante, Neil ha seguito il proprio talento e il proprio cuore. È cresciuto a pane e calcio, nelle strade e nei campetti vicino Barcellona, in un contesto dove la palla rotola sempre e la fantasia è il primo allenatore. Il tennis? Ogni tanto ci giocava, sì. Ma era il calcio a farlo sentire vivo. E papà Younes? Mai una parola fuori posto. Lo ha sostenuto, ma non indirizzato. Anzi, lo ha sempre incoraggiato a seguire la sua passione, qualsiasi essa fosse. Oggi, lo segue ovunque, in ogni passo della carriera. Anche in questa nuova avventura romana.

 

La conferma arriva proprio da lui, Younes, che ha raccontato di aver ricevuto personalmente una telefonata da Massara, il dirigente giallorosso che ha fortemente voluto il figlio nella Capitale. Una chiamata che ha acceso qualcosa, una sensazione chiara: la Roma è il posto giusto per Neil. Un ambiente caldo, esigente, ma perfetto per un giovane con la testa giusta, pronto a lavorare e a sorprendere. 

 

E chissà, magari un giorno all’Olimpico ci sarà anche Younes in tribuna, a tifare con lo stesso spirito con cui una volta stringeva la racchetta. Perché l’amore per lo sport, alla fine, non cambia mai: cambia solo il campo.