
Chi era Wilma Rudolph: la campionessa olimpica che sconfisse la poliomielite
Wilma Rudolph è un’icona dello sport e un simbolo di riscatto sociale: nata in una famiglia numerosa e povera del Tennessee, superò la poliomielite da bambina per diventare una delle più vincenti e iconiche atlete del suo tempo. Denominata "la gazzella nera", conquistò tre medaglie d’oro alle Olimpiadi di Roma 1960, diventando un modello per le donne e per la comunità afroamericana.
Wilma Rudolph: le origini e un'infanzia difficile
Wilma Rudolph non era certo una predestinata. Nata in una famiglia poverissima nel 1940, era la ventesima di ventidue figli. La sua infanzia fu molto difficile: a soli quattro anni superò una polmonite unita alla scarlattina, ma subito dopo fu colpita dalla poliomelite paralizzante, che le impediva di utilizzare correttamente la gamba sinistra e che minacciava di rendere impossibile per lei anche solo camminare. Il Tenessee degli anni 40 non era certo un posto facile per una famiglia povera e nera, le leggi dello Stato impedivano persino a bianchi e neri di curarsi nello stesso ospedale: l’unico disponibile a curare la piccola Wilma era a 80 km dalla sua casa di Nashville, distanza che la bambina percorreva due volte la settimana con la madre, a piedi o in bicicletta. Wilma Rudlph fu costretta a indossare calzature speciali e un tutore per anni, con il rischio di veder degenerare la sua malattia. La sua tenacia però, unita alla dedizione della madre, le permise di tornare a camminare normalmente già a dodici anni.
L’ascesa nello sport
Una volta ristabilita, Wilma fece capire subito che lo sport era nel suo destino, entrando con ottimi risultati nella squadra di basket della sua scuola. Presto però la sua velocità fu notata da Ed Temple, allenatore dell’Università del’Arizona, che offrì alla ragazza una borsa di studio pur di averla nella sua squadra di atletica. Il successo fu immediato: a 16 anni la bambina che rischiava di non poter camminare era la più veloce del suo Stato, entrò nella squadra olimpica e a Melbourne, nel 1956, conquistò la medaglia di bronzo nella staffetta 4x100. Sembrava un’impresa impossibile solo qualche anno prima, ma il meglio per Wilma Rudolph doveva ancora arrivare.
Il trionfo olimpico di Wilmaa Rudolph a Roma 1960
Appena ventenne, alla sua seconda esperienza olimpica, quella di Roma 1960, Wilma brillò: sulla pista nessuna aveva la sua potenza e la sua leggerezza, la “gazzella nera” come la soprannominò la stampa si aggiudicò in scioltezza tre ori nei 100 m, nei 200 m e nella staffetta 4 × 100 m, diventando la prima donna americana a ottenere tre vittorie in una sola Olimpiade.
- Nei 100 m, dopo aver eguagliato il record mondiale (11”3) in semifinale, vinse la finale in 11”0, tempo non omologato per eccessivo vento favorevole;
- Nei 200 m, eguagliò il record olimpico (23”2) in batteria e vinse la finale in 24”0;
- Nella staffetta 4 × 100 m, conquistò l’oro con un nuovo record mondiale (44”5).
Velocissima, giovane, bella e con una storia incredibile alle spalle, tutto il mondo restò incantato da questa atleta straordinaria.
Impatto mediatico e riconoscimenti
L’attenzione internazionale fu enorme: Wilma divenne una star mondiale con la prima ampia copertura televisiva delle Olimpiadi, accanto ad atleti come Cassius Clay. Le sue passeggiate nel vilaggio olimpico, mano nella mano con il velocista italiano Livio Berruti, fecero fantasticare su una presunta storia d’amore tra l’uomo e la donna più veloci del pianeta, ma sopratttto furono una testimonianza di antirazzismo che nel 1960 non poteva certo darsi per scontata. Wilma Rudolph, ad appena venti anni, venne eletta Atleta donna dell’anno dalla Associated Press, titolo che bissò nel 1961, quando migliorò il record mondiale dei 100 m correndo in 11”2 nel 1961.
Wilma Rudolph: il ritiro e l'impegno sociale
Wilma si ritirò improvvisamente dalle competizioni nel 1962, al culmine della sua carriera, mantenendo primati mondiali nei 100 m, 200 m e nella staffetta 4 × 100 m, e senza che nessuna atleta fosse mai riuscita a batterla in un confronto diretto in pista. Sul suo ritiro è rimasto un alone di mistero, le fonti parlano di motivazioni legare al suo matrimonio nel 1961, di difficoltà economiche per un’atleta che certo non guadagnava come i suoi omologhi moderni, persino di boicottaggio politico per una sua presunta simpatia per le Pantere Nere. In seguito, lavorò come insegnante, allenatrice e commentatrice sportiva. Nel 1977 pubblicò la sua autobiografia e una miniserie televisiva la raccontò: anche Denzel Washington ricoprì un ruolo nel progetto. Nel 1976 fu inserita nella National Track & Field Hall of Fame.
La sua eredità e l’impegno civile
L’importanza di Wilma Rudolph, la donna che sconfisse la poliomelite e vinse le olimpiadi, andò ben oltre lo sport: come donna nera di successo, contribuì a infrangere barriere di genere e razza nell’America segregata degli anni ‘60. Simbolico quanto successe a Clarksville, presso la sua casa, quando rifiutò una parata di benvenuto se questa non fosse stata integrata: successo storico, fu il primo evento pubblico della città cui parteciparono insieme bianchi e neri.
Gli ultimi anni e il ricordo di Wilma Rudolph
Wilma Rudolph si spense nel 1994, all’età di 54 anni, a causa di un tumore al cervello. Nel 2004, gli Stati Uniti emisero un francobollo per commemorare i suoi trionfi olimpici. La sua figura è ricordata attraverso documentari, libri e un film TV, simbolo di forza, speranza e cambiamento sociale. Wilma Rudolph non fu solo una campionessa olimpica: la sua vita è la storia di una vittoria su una malattia debilitante, dell’ascesa a icona mondiale dello sport femminile e afroamericano, e dell’impegno per l’uguaglianza. La sua eredità vive ancora oggi, ispirando atlete, educatori e attivisti in tutto il mondo.